Chioggia città
del colore
di Gianni Scarpa e Sergio Ravagnan
Colori nella terra
Scenario da teatro
È una terra tutta diversa quella di Chioggia. Una terra nata dall’acqua
e che convive con l’acqua. Figlia del lavoro incessante, ciclopico della
sua gente, che per
secoli si è misurata con le forze immani della natura. Alzando argini,
fondamenta, dighe e murazzi, per proteggerla dalla prepotenza del mare e dei
fiumi. Costruendo le case su palafitte. Legandola con i ponti. Ne è
risultato un capolavoro unico, dalla forma straordinaria nella quale si sposano
quasi per caso perfetta geometria e funzionalità. Una perfezione naturale
nelle linee portanti, se si guarda dall’alto, che si trasforma, avvicinandosi,
in uno scenario di teatro, fatto di tinte forti e penombre. L’esposizione
delle calli da oriente ad occidente crea un’illuminazione particolare,
investendola in modo obliquo, con effetti quasi irreali, da palcoscenico.
Ma la terra di Chioggia è anche quella fatta di sabbia. La sabbia ancora
ancella del mare, immersa in profondi silenzi d’inverno. O luogo di
giochi e di accecanti torpori nei meriggi d’estate. La sabbia resa fertile
e feconda col sudore della fronte, col lavoro ostinato e incessante, spianando
dune, scavando pozzi e fossati, proteggendola dai venti salsi del mare, quasi
coccolata da ortolani ricurvi o in ginocchio. È un paesaggio diverso
dalla solita campagna. Sarà forse per quegli spazi che alla fine ascoltano
il rumore del mare. O per quel cielo che odora di salso e viene spazzato a
turno dalla bora o dallo scirocco. O forse ancora per quella divisione dei
campi in minuscoli fazzoletti di terra, disegnati con la calligrafia minuta
degli ortaggi, con tanti, troppi, recinti, con i tanti troppi casoni.
Gli orti
Gli abitanti di
Sottomarina hanno saputo strappare la terra al mare e rendere fertile la sabbia.
Così scriveva al Doge un podestà chioggiotto
del 1600.
E questa resta l’epigrafe più azzeccata per comprendere come,
fin dai secoli più lontani, gli abitanti di questa terra, continuamente
soggetta ad inondazioni, siano riusciti non solo ad adattarsi a questo difficile
ambiente, ma siano riusciti con una caparbietà unica a plasmarlo, valorizzandolo
in forma inedita. Inventando, cioè, in modo del tutto originale la
coltivazione di alcuni prodotti tipici, che venivano esaltati proprio da quella
particolarità del terreno. Sono la cipolla bianca, la patata, la carota
e soprattutto il radicchio rosso, noto anche come Rosa di Chioggia. Vista
dall’alto la geografia degli orti si presenta con un ordito molto frammentato.
Veri fazzoletti di terra scanditi dall’immancabile casone, in legno
e cotto. Una volta riparavano le loro coltivazioni esposte ai venti salsi
con le caratteristiche arelle fatte con canne palustri. Ora nei mesi invernali
è più facile vedere interminabili distese di teli biancastri
che coprono nei campi le piantine delle primizie.
Sottomarina
Costituisce il cordone litoraneo più meridionale della Laguna veneta,
compreso tra la bocca di porto di Chioggia e la foce del Brenta-Bacchiglione.
Rimasta disabitata per secoli dopo la distruzione dei genovesi nel 1379, priva
di difese a mare, riprese a vivere come aggregato urbano solo a partire dalla
seconda
metà
del 1600 e con sempre maggior impulso nel secolo successivo, dopo la costruzione
dei Murazzi, l'imponente opera costruita dalla Serenissima per difendere l'intero
bacino lagunare. L’insediamento più antico era rivolto verso
il Lusenzo. Proiettata tra laguna e mare, ha sviluppato alcune attività
peculiari legate alla pesca delle vongole, all’estrazione della sabbia
dai fiumi, all’orticoltura e più recentemente al turismo balneare.
La struttura urbana di Sottomarina, pur presentando alcune analogie con quella
di Chioggia, con le calli che conducono all’acqua, presenta alcuni elementi
originari tutti propri. Le sue piccole vie infatti, tutte molto strette, a
differenza di quelle chioggiotte, risultano più irregolari, formate
non da isolati, ma da tante case separate da piccoli muri e cortili con recinzioni
che ben definiscono i confini della proprietà. Testimonianza di un
antico insediamento in cui accanto alla casa c’era l’orto. Lo
sviluppo del territorio verso il mare si ebbe nel XX secolo, in seguito allo
spostamento in mare della foce del Brenta.
La spiaggia
Oltre cinque chilometri e mezzo di arenile tra la diga di san Felice e la
foce del Brenta. La sua espansione eccezionale, che in qualche tratto raggiunge
anche
i 300 metri, è relativamente recente. Dovuta essenzialmente alla fortunata
coincidenza di due elementi: la deviazione del Brenta fuori dalla laguna,
avvenuta alla fine del secolo scorso e la costruzione della diga sud del porto
di Chioggia, opera conclusa alla metà degli anni ‘30. Da allora
gli apporti detritici del fiume allargarono il litorale con medie anche di
tre metri l'anno. Frequentata fin dagli inizi del ‘900 da una certa
èlite, che si ritrovava nei primi stabilimenti balneari, il Margherita,
il Salute e successivamente il Miramare, il Clodia, soprattutto per le qualità
terapeutiche dell’area e della sua sabbia, finissima e di color perlaceo.
Dagli anni ’50 è progressivamente cresciuta diventando spiaggia
di massa.
La calle
Non una semplice
via. È anche e soprattutto luogo in cui si vive, si lavora e si gioca.
Un salotto comune che prolunga fuori casa gli spazi abitativi sempre troppo
angusti. Le calli sono sistemate con un disegno mirabile in due serie parallele
che s’intersecano perpendicolarmente sulla doppia via di terra (piazza)
e d’acqua (il canal Vena) con una pianta che richiama la spina di pesce.
In tutto sono 74: 34 si trovano nel lato ovest, oltre la piazza; 40 in quello
compreso tra il canal Vena e il san Domenico, che un tempo s’incuneavano
con piccoli rii, detti zoelli. A testimonianza di questa antica origine stanno
ancor oggi due elementi: il portico nel lato del passaggio pedonale, solitamente
a settentrione e sul fronte opposto le “caneve”, i magazzini per
il deposito degli attrezzi da pesca raggiungibili direttamente dalle barche.
Le
seppie secche
Tra
gli antichi metodi di conservazione del pesce vi era anche quello dell’essicazione.
Un tempo questa attività era molto fiorente. Oggi ne restano soltanto
flebili tracce.
L’acqua alta
E’ un fenomeno con cui Chioggia, come Venezia, si trova a convivere
da sempre. Anche se negli ultimi decenni il rischio è andato aggravandosi,
per alcuni interventi
(imbonimento di barene, escavo eccessivo di canali) che hanno sconvolto un
equilibrio idraulico acquisito nei secoli. Sono molte e di varia natura le
condizioni che favoriscono l’alta marea: vi concorrono le stagioni delle
piogge, il periodo del plenilunio, il vento di scirocco sostenuto, che spinge
da sud e preme nell’invaso lagunare in modo particolare a causa della
“sessa”, un’anomala oscillazione laterale delle acque dell’Adriatico.
L’acqua invade rive, piazza e calli, quando supera i 100 cm. sul livello
medio mare. Se le condizioni atmosferiche non sono proibitive, la situazione
che si crea, a parte gli evidenti disagi di mobilità, risulta un evento
di trasformazione ambientale particolarmente curiosa, capace di sprigionare
inediti riflessi dei palazzi su una piazzacanale irreale, dove comunque persistono
elementi del vecchio paesaggio e la gente, armata di stivali, continua a muoversi
come sempre.
I portici
Sono una caratteristica del tutto peculiare per una città lagunare,
che neppure Venezia (se si fa eccezione per piazza san Marco) possiede. Una
caratteristica che – come annotò il noto critico d’arte
Cesare Brandi – rende Chioggia mezza di terra e mezza di acqua, mezza
veneziana e mezza emiliana. Un elemento, quello dei portici, che ritroviamo
non solo lungo tutta la piazza, ma anche per ampi tratti della riva Vena e
sporgenti di tanto in tanto nelle calli. Il più delle volte rappresentano
una soluzione per recuperare spazio abitativo. Ma la loro presenza risponde
pure alla funzione di riparare dalle intemperie e anche dai raggi del sole.
Gli squeri
Completano il paesaggio peschereccio le isole dei Cantieri, gli squeri, che
vantano una tradizione di cultura materiale che affonda nel periodo medioevale.
Il
loro statuto, la Mariegola di san Giuliano, risale al 1211 e si configura
come uno dei primi esempi in Europa di società che precorse il mutuo
soccorso. D’interesse particolare l’architettura dei tipici capannoni,
le tenze, sul cui architrave si può notare la caratteristica cesiola,
una sorta di altarino con un‘immagine celeste, posta a protezione dei
lavoranti. All’interno il tabiào lo scabuzzino-ufficio sospeso
in alto su una parete. Diverse le specializzazioni esistenti all’interno
di questa attività: il maestro d’ascia, gli scorarioi ovvero
i carpentieri, i segantini addetti in coppia al lunghissimo segaccio, i puti
de cantier ovvero gli apprendisti, i calafati specializzati nell’impermeabilizzazione
dello scafo.
La piazza
Il Corso del Popolo attraversa il centro storico di Chioggia da nord a sud.
È il vero cuore della città. Ha una doppia entrata: dall’acqua
al molo di Vigo, dove si eleva il maestoso ponte istoriato, vero balcone sulla
laguna, e da terra attraverso la porta di Santa Maria, residuo di antiche
mura medioevali. È una piazza-strada maestosa e vissuta, che misura
840 metri in lunghezza. Costituisce il cardo maximus del castrum romano. Una
delle più vistose particolarità è costituita dalla serie
continua dei portici sul lato di ponente. Nel tratto più settentrionale
il tracciato si curva di circa cinque gradi, quel che basta per spezzare le
raffiche dirette della bora. Curzio Malaparte la definì un unico gran
caffè all’aperto. Luogo di animazione e socialità, dà
l’impressione che ogni giorno sia festa.