Chioggia città del colore
di Gianni Scarpa e Sergio Ravagnan

Colori sommersi


Le tegnue
I fondali sottomarini davanti Chioggia non sono costituiti solo da semplici e monotone distese di sedimenti, bensì presentano interessanti affioramenti rocciosi sparsi in una vasta area a profondità comprese tra 10 e 40 metri. Questi fondali erano noti fin dai secoli scorsi ai pescatori che li apprezzavano per la ricchezza di pesce e allo stesso tempo li temevano per il pericolo di impigliare le reti, come denota il nome attribuitogli di “tegnùe”.
Questi fondi duri, simili ad oasi nel deserto, ospitano ancora oggi una ricca flora e fauna offrendo ai subacquei panorami multicolori e l’occasione di incontri sorprendenti ed affascinanti con diversi organismi marini. Ma come si sono formate queste rocce? Non è facile dare una risposte semplice a questa domanda perché sono diversi i processi geologici e biologici che, caso per caso, hanno contribuito alla formazione di queste rocce. Le più antiche sembrano risalire a circa quattro mila anni fa, quando il livello del mare era più basso e dove ora si trovano molti affioramenti allora vi erano antiche rive e spiagge. Nei secoli successivi e fino ai nostri giorni la diffusa risalita di gas metano dal sottosuolo ha favorito la precipitazione dei carbonati, dando luogo alla cementazione delle diverse particelle di detrito e sabbia, formando così i primi strati rocciosi. Questo processo è tutt’ora in corso soprattutto in alcune aree. Su questi fondi consolidati si sono poi insediati numerosi organismi sia vegetali che animali, molti dei quali sono in grado di formare croste, scheletri e gusci calcarei. Accrescendosi gli uni sugli altri, giorno dopo giorno, questi organismi “biocostruttori” hanno portato alla formazione di concrezionamenti spessi anche alcuni metri. Il ruolo più importante è svolto da alcune alghe rosse chiamate “corallinacee” proprio perché sono in grado di formare croste calcaree che illuminate dai fari subacquei assumono colorazioni rosse violacee intense. Fra gli animali troviamo delle piccole colonie di madrepore, in qualche modo simili a quelle tropicali, dei vermi che formano tubi biancastri, molluschi bivalvi tra cui ad esempio le ostriche. Tutti questi invertebrati sono in grado di filtrare e trarre nutrimento dalle ricche acque dell’Adriatico settentrionale. Sul fondo poi si accumulano i gusci dei gasteropodi, dei ricci di mare e così via. Su questi fondi duri possono poi attaccarsi e svilupparsi anche organismi dal corpo molle come spugne, antozoi e cerianti, spirografi ed ascidie dai mille colori. Nelle infinite cavità trovano rifugio tanti invertebrati e pesci, dai piccoli gamberetti ai grandi astici, dalle delicate ofiure alle strane oloturie, dai colorati nudibranchi ai mimetici polpi, dalle piccole bavose ai curiosi cavallucci fino ai possenti gronghi. Non è difficile infine imbattersi in veri propri banchi di merluzzetti, boghe e occhiate in cerca di cibo o anche solo di una roccia intorno cui volteggiare.

Massimo Ponti
Università di Bologna

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