ASPETTI BIOLOGICI ED ECOLOGICI DELLE
"TEGNÙE"
BIOCOSTRUZIONE, BIODIVERSITÀ E
SALVAGUARDIA
di Massimo Ponti
foto di Piero
Mescalchin
Testo tratto da:
Ponti, M. (2001) Aspetti biologici ed ecologici delle "tegnùe": biocostruzione, biodiversità e salvaguardia. Chioggia, rivista semestrale di studi e ricerche del Comune, 18: 179-194.
Le immagini non si riferiscono ai testi ma hanno solo valenza descrittiva della fauna presente.
"... questo mare deve presentare una dimora opportuna alle produzioni sì vegetabili che animali amanti d'abitazione d'indole disparata ... e per conseguenza vi abbondano gli animali coperti d'integumenti duri per lo più calcarei, i quali decomponendosi contribuiscono di nuovo a formare concrezioni parimenti calcaree, che rendono quei letti ineguali ed aspri ..."
Giuseppe Olivi, 1792
Che ad
interrompere la monotonia delle distese sabbiose e fangose nell'Adriatico
settentrionale vi fossero delle formazioni rocciose, substrato idoneo allo
sviluppo di una flora e di una fauna peculiare, e che infine gli organismi
stessi potessero contribuire alla formazione e all'accrescimento di queste
strutture, era già ben noto all'Abate Giuseppe Olivi che nel 1792 li descriveva
con dovizia di particolari nella sua opera "Zoologia Adriatica". Con il
nome popolare di "tenùe" vengono oggi indicate un gran numero di rocce che
affiorano dai sedimenti nord adriatici in una vasta area tra Grado e le foci del
fiume Brenta. Purtroppo fino quasi ai giorni nostri, di questi
ambienti, ostili ai pescatori che operano con reti a strascico, nessuno o quasi
si è più occupato, tant'è che nemmeno Vatova nel 1949 ne fa menzione nella sua
fondamentale opera di descrizione della fauna bentonica dell'Alto e Medio
Adriatico. Ritornate agli onori della cronaca e all'attenzione della scienza a
partire dalla seconda metà degli anni sessanta grazie agli studi geologici
intrapresi da Stefanon e colleghi (Stefanon 1966, 1967, 1970; Braga &
Stefanon 1969; Stefanon & Mozzi 1972; Newton & Stefanon 1975) oggi
questi ambienti sono oggetto di indagini da parte di numerosi ricercatori sia
nel campo della geologia (Newton & Stefanon, 1982; Gabbianelli et al. 1997;
Colantoni & Taviani 1980; Colantoni et al. 1997a, 1997b, 1998) sia in quello
della biologia (Mizzan 1992, 1994, 1995; Cesari & Mizzan 1994; Gabriele et
al. 1999). Nonostante questo sono ancora molti gli aspetti da chiarire sia sulla
formazione sia sull'evoluzione di queste formazioni rocciose nonché sulla flora
e la fauna ad esse intimamente associate.
Biocostruzione
Fin dai primi studi è stato messo in
evidenza come questi affioramenti siano in realtà molto eterogenei presentando
morfologie e strutture molto variabili ed estensioni comprese tra pochi e
centinaia di metri quadrati. L'area di distribuzione include gran parte
dell'Adriatico settentrionale e l'intervallo batimetrico spazia da 10 a 40 m di
profondità.
Secondo i vari studi, la loro origine primaria, di cui qui non ci occuperemo,
appare comunque complessa e in alcuni casi può essere ricondotta ad una iniziale
cementazione carbonatica di sedimenti clastici (sabbie) e bioclastici (gusci
di conchiglie ed esoscheletri) che costituiscono lo strato di base più o meno
spesso; probabilmente in questi casi si tratta di beachrocks formatesi
circa 4.000 anni fa, quando il livello del mare era più basso, sulle quali
successivamente si sono poi imposte forme organogene, direttamente generate
cioè da organismi biocostruttori. Nel favorire la cementazione dei clasti
e lo sviluppo di organismi biocostruttori appare importante, anche se non
completamente chiarito, il ruolo rivestito dalle emissioni di gas metano presenti
in corrispondenza di alcuni affioramenti e diffuse in vaste aree dell'Adriatico
settentrionale (Colantoni et al. 1997a, 1997b, 1998; Gabbianelli
et al., 1997)..
Dal punto di vista morfologico,
Newton e Stefanon (1982) riferiscono dell'esistenza di due tipologie
fondamentali di "tegnùe": da una parte veri e propri "reefs" o barriere
organogene interamente o quasi realizzate da organismi biocostruttori,
dall'altra rocce sedimentarie più o meno grandi e spesso in forma di lastre su
cui gli organismi creano solo sottili "croste" di ricoprimento. Di fatto,
qualunque corpo solido sommerso come ad esempio i gusci di grossi bivalvi
(ostriche, pinne e pettini), oggetti abbandonati o relitti, possono costituire
il fulcro di partenza per lo sviluppo di organismi incrostanti che coi loro
gusci o scheletri calcarei si accrescono gli uni sugli altri, inglobando altri
gusci e sedimento, originando "biostrutture".
Nel caso
dei reefs propriamente detti i principali organismi costruttori sembrano
essere le alghe calcaree, seguite in ordine di importanza dai madreporari, tra
cui Cladocora caespitosa e Astroides calycularis, briozoi e
policheti serpulidi. Nel caso delle croste di ricoprimento la
componente di serpulidi appare più ridotta a favore dei briozoi. La componente
algale varia comunque da zona a zona ed è principalmente influenzata dalla
penetrazione della luce (profondità e torbidità dell'acqua) e dai tassi di
sedimentazione a cui è sottoposta. In generale le biocostruzioni sono un
fenomeno complesso, ben rappresentato nelle zone tropicali ma presente e molto
importante anche nell'area mediterranea, con diversi aspetti e forme. Tali
strutture sono formate da popolamenti densi, spesso costituiti da poche specie,
a base di alghe calcaree sciafile che si sviluppano sia su substrati duri sia
mobili, in condizioni di scarsa luminosità. Il concrezionamento è
fondamentalmente legato a fattori quali la velocità di crescita della specie
algale dominante e il tasso di sedimentazione. Le velocità di accrescimento per
alcune "tegnùe", desunte sulla base degli spessori raggiunti e delle datazioni
eseguite, sono tra 0.25 e 0.75 mm all'anno (Gabbianelli et al. 1997).
Sui fondali di diverse piattaforme continentali mediterranee si
rinvengono concrezionamenti ad opera di alghe coralline, briozoi e serpulidi di
sedimenti detritici costieri contenenti ciottoli sabbia e frammenti di
conchiglie,. Gli organismi che costruiscono strutture di carbonato di calcio
portano ad una progressiva sovrapposizione di strati calcarei, sui quali possono
insediarsi un gran numero di organismi, sia massivi sia eretti. L'attività
concrezionante è in parte bilanciata da organismi perforatori quali clionidi e
alghe endolitiche (Cerrano et al. 1999). Le alghe calcaree sono Rhodophyta
(alghe rosse) appartenenti alla famiglia delle Corallinacee. In queste alghe la
parete è impregnata di carbonato di calcio (CaCO3) depositato sotto forma di
calcite o aragonite. Vivono in genere fino a 20 m di profondità anche in zone ad
elevato idrodinamismo dove possono dare vere e proprie formazioni rocciose. Le
specie più note sono Mesophyllum lichenoides, Lithophyllum spp.,
Pseudolithophyllum spp. e Lithothamnion spp. Fra le specie
calcaree vi sono poi delle forme ramificate e grandi qualche centimetro (dei
generi Lithophyllum e Lithothamnion) chiamate generalmente
"praline" o col termine bretone "maërl"; si tratta di "bentopleustofite" che
vagano ruzzolando spinte dalle correnti e finiscono per accumularsi in zone
depresse più o meno profonde dove insieme a briozoi, coralli e gusci di
molluschi possono formare anche grandi depositi di Rhodoliti, così come li
chiamano i geologi. Piccoli banchi di maërl sono presenti anche in
alcune zone dell'Adriatico settentrionale a profondità comprese fra i 30 e i 70
m e non si esclude che alcuni di questi potrebbero costituire la base per la
formazione di "tegnùe" profonde.
Fra gli
organismi biocostruttori animali possiamo ricordare Cladocora caespitosa
che è una sclerattinia coloniale endemica del Mediterraneo in grado di produrre
simbiosi con zooxanthelle come quelle che si osservano nelle barriere coralline
tropicali. Essa è in grado di vivere in un ampio intervallo ecologico: su fondi
duri o molli, in acque calme o mosse, dalla superficie a circa 50 m di
profondità. Tali parametri sono in grado di influenzare profondamente la forma
generale della colonia, che si presenta comunque composta da rametti aventi i
calici sempre rivolti verso l'alto. Normalmente tale madrepora si considera
aermatipica (non è cioè in grado di costruire barriere), ma in alcune aree sono
noti veri e propri banchi: in Corsica, Tunisia e a Ustica si conoscono banchi
ormai morti e ricoperti da sedimenti, nel golfo di Atalanti e nello stretto tra
Eubea e la terraferma esistono invece formazioni ancora viventi. Un grande
numero di invertebrati vive tra i rami di C. caespitosa ma i poriferi
sono i più rappresentati. In particolare, i clionidi sono i principali
responsabili della distruzione di tali strutture (Cerrano et al. 1999). Tra i
policheti serpulidi che contribuiscono a queste strutture troviamo Serpula
concharum, S. vermicularis, Pomatoceros triqueter, Protula
tubularia (Boldrin 1979). Si tratta di anellidi in grado di costruire tubi
calcarei, più o meno lunghi e contorti, in cui si rifugiano. Lo sviluppo di
alcune specie è tale da formare anche nel giro di pochi decenni estesi reefs, ben noti quelli lagunari realizzati da
Ficopomathus
enigamaticus.
Biodiversità
Indipendentemente da come questi
affioramenti rocciosi si siano generati, tutti rappresentano substrati duri
isolati che consentono localmente l'insediamento di una fauna e una flora
bentoniche peculiari e sostanzialmente diverse rispetto a quelle rinvenibili nei
circostanti fondi mobili. Mentre nei sedimenti, a seconda della composizione e
granulometria, si rinvengono infaune costituite principalmente da policheti,
bivalvi e gasteropodi fossori a cui si affiancano alcuni echinodermi e
crostacei (Vatova 1949; Peres & Picard 1964; Gamulin-Brida 1974), sui fondi
duri è possibile l'insediamento di epibionti sessili, che vivono cioè saldamente
attaccati al substrato. Tra questi si possono ricordare alcuni celenterati, poriferi incrostanti
o eretti come Verongia aerophoba e Axinella sp., policheti, bivalvi, crostacei cirripedi, briozoi e
tunicati come ad esempio Polycitor adriaticus e Aplidium conucum. All'interno delle rocce calcaree possono inoltre insediarsi
endobionti come poriferi e bivalvi endolitici (Gabriele et al. 1999). Grazie
alle cavità e agli interstizi presenti, più o meno riempiti di sedimento,
possono trovare qui rifugio anche moltissime specie mobili, comprese alcune di
quelle che albergano nei sedimenti circostanti. In genere è possibile
riscontrare una elevata presenza di crostacei e di echinodermi, tra i quali
prevale la specie di ofiura Ophiothrix fragilis, non mancano
poi nudibranchi, cefalopodi, platelminti, sipunculidi, nemertini ed
echiuridi. Questi ambienti sono inoltre favorevoli per la riproduzione e lo
sviluppo degli stadi giovanili di molte specie offrendo loro protezione e
riducendo così la mortalità. In definitiva, la presenza di substrati duri nonché
di nicchie e gradienti ambientali inducono un aumento della diversità specifica
(Bisby 1995). Anche la fauna ittica associata a questi ambienti è
particolarmente ricca e diversificata. Infatti possono trovare protezione e
alimento pesci bentonici come gronghi, piccoli serranidi, corvine, saraghi, labridi, blennidi, scorfani
e triglie. Spesso
anche banchi di pesci pelagici, o comunque meno legati al fondale, vengono
attratti dalla presenza di queste oasi, come nel caso di boghe, occhiate,
merluzzi e sardine. Questo fenomeno di attrazione, già noto ai
pescatori e particolarmente studiato per i "reefs artificiali", può
essere ricondotto a 5 tipologie di comportamento dei pesci: reotassia
(orientamento rispetto alla corrente), geotassia (orientamento rispetto alla
costa e alla morfologia del fondale), tigmotassia (ricerca del contatto fisico),
fototassia (risposta alla luce e all'ombra), chemiotassia (risposta a stimoli
chimici/olfattivi). In realtà è molto difficile comprendere per alcune specie se
l'elevata densità che si riscontra è semplicemente frutto di una attrazione e
concentrazione a discapito dei fondali circostanti o se questi ambienti
supportino un reale aumento della fauna ittica e quindi un aumento della
produttività (Neves Santos et al. 1997).
In generale,
nonostante le ridotte profondità, a causa della frequente torbidità dell'acqua
si osserva una prevalenza di forme animali rispetto a quelle vegetali. In questo
mare eutrofico osserviamo stagionalmente l'abbondate sviluppo nella colonna
d'acqua di microalghe planctoniche che rappresentano gran parte della produzione
primaria da cui trae origine la rete trofica. Il fotoplancton costituisce
infatti cibo per lo zooplancton. Insieme, particellato organico trasportato dei
fiumi, fito- e zooplancton, costituiscono alimento per moltissimi organismi
bentonici filtratori e sospensivori, che in genere dominano le comunità delle
tegnùe. Da qui le rete trofica prosegue fino ai grandi predatori (es.: Homarus gammarus,
Maja squinado) mentre parallelamente si
sviluppano gli organismi detritivori e decompositori. La grande disponibilità
alimentare e la presenza di comunità ricche e diversificate consentono una
elevata produzione di biomassa. La composizione floro-faunistica è localmente
condizionata dai rapporti iter- e intraspecifici come competizione, predazione e
varie tipologie di simbiosi. Fattori ambientali che possono influenzare
l'insediamento e l'abbondanza delle diverse specie sono l'idrodinamismo, i tassi
di sedimentazione, la profondità e la torbidità media delle acque che condiziona
la penetrazione della luce e quindi la sopravvivenza delle forme vegetali. Anche
la presenza di inquinanti o di altri fenomeni di disturbo, naturale o antropico,
possono condizionare le diverse popolazioni ed i rapporti reciproci. Per questo
motivo affioramenti più o meno lontani dalle coste, sotto l'influenza o meno di
foci fluviali o di scarichi civili e industriali possono presentare comunità
bentoniche anche molto diverse tra loro.
In Adriatico settentrionale oltre
alle tegnùe vi sono moltissimi altri reefs "artificiali", alcuni sono
stati intenzionalmente costruiti per scopi specifici come le piramidi di blocchi
di cemento o di altri materiali, deposti per creare zone di ripopolamento e
proteggere alcuni ambienti impedendo localmente la pesca a strascico (Bohnsack
& Sutherland 1985; Bombace et al. 1994, 1997; Bombace 1989, 1997), oppure
nel caso di opere portuarie e di altre opere di difesa costiera (pennelli,
scogliere frangiflutti emerse, sommerse o soffolte, scogliere radenti, ecc.;
Airoldi et al. 2000) o anche nel caso di strutture offshore connesse allo
sfruttamento dei giacimento metaniferi (Falace & Bressan 1997; Bombace et
al. 1999; Fabi et al. 1999). Costituiscono reef artificiali anche diversi
relitti tra i quali il più famoso e studiato è quello della piattaforma di
perforazione Agip "Paguro" (Ponti et al. 1998, 1999, 2000; Giovanardi &
Rinaldi 1999). Confrontando alcuni reefs naturali con
alcuni artificiali sono state osservate comunità sostanzialmente diverse tra
loro. Ad esempio il numero di specie di poriferi in genere è maggiore sui
substrati naturali ma cala all'aumentare della torbidità dell'acqua. Al
contrario i bivalvi e i policheti sembrano essere rappresentati da un maggior
numero di specie sui substrati artificiali, dove in particolare è caratteristica
la presenza di ostriche (Ostrea edulis, Crassotrea gigas) e cozze
(Mytilus galloprovincialis). Le comunità dei substrati naturali
invece si caratterizzano per l'elevata presenza di specie di ascite, tra cui
domina Polycitor adriaticus. Queste differenze appaiono però
principalmente dovute non tanto alla diversa natura del substrato quanto alla
diversa elevazione dal fondale, la diversa torbidità delle acque, la presenza
sulle barriere artificiali di pareti verticali sulle quali l'accumulo dei
sedimenti è ridotto (Gabriele et al. 1999).
Salvaguardia
Le tegnùe rappresentano ambienti particolarmente importanti dal punto di vista
naturalistico sia perché aumentano la biodiversità dei fondali adriatici sia
perché offrono alimento e protezione a numerose specie favorendone la riproduzione
e riducendo la mortalità. Purtroppo però sono ambienti delicati che possono
risentire negativamente di fenomeni di disturbo sia naturali, come nel caso
di massicci apporti di sedimenti alluvionali, sia antropici. Tra questi ultimi
costituiscono gravi minacce l'inquinamento, la discarica di rifiuti, la pesca
indiscriminata con strumenti atti a raschiare il fondale, l'ancoraggio. Persino
un'eccessiva presenza di subacquei non opportunamente sensibilizzati sulla
vulnerabilità di questi ambienti potrebbe localmente creare danni ai popolamenti
soprattutto delle specie erette (Davis & Tisdell 1995). Data la ridotta
elevazione anche le crisi anossiche, che periodicamente di verificano nei
pressi dei fondali in seguito ai fenomeni eutrofici e alla stratificazione
della colonna d'acqua, possono causare seri danni alle comunità. Ad esempio,
a seguito di una importante crisi, nel 1977 Boldrin (1979) osservò danni alle
popolazioni di poriferi, echinodermi, crostacei, bivalvi tra cui Pinna
nobilis, ed inoltre i pescatori e ricercatori assistettero ad un accumulo
verso costa e alla moria di un gran numero di pesci ed astici (Scovacricchi
1998). La realizzazione di impianti di maricoltura o di strutture artificiali
finalizzate al ripopolamento ittico, in alcuni casi proposte all'interno delle
aree ove le tegnùe sono più abbondanti (Mascarello et al. 1998), andrebbe
valutata con molta attenzione dato che questi potrebbero essere fonte di accumulo
di detriti organici con un conseguente impatto negativo a breve e lungo termine
sui delicati equilibri ecologici che consentono lo sviluppo e l'accrescimento
di queste strutture organogene (Molina Domýnguez et al. 2001; Mazzola
& Sarà 2001; Kraufvelin et al. 2001; Karakassis et al.
1999, 2000). Seguendo l'esempio delle esperienze condotte in diversi stati
europei, oggi anche nell'ambito delle tegnùe sono allo studio interventi di
ripopolamento di una importante e pregiata specie il cui eccessivo sfruttamento
nonché le crisi anossiche hanno causato negli anni una forte contrazione degli
stock: si tratta dell'astice Homarus gammarus. I primi risultati prodotti
dalla sperimentazione in campo appaiono confortanti (Scovacricchi 1997, 1998a,
1998b; Scovacricchi & Burton 1998).
Nell'ambito
di una corretta ed oculata gestione costiera integrata andrebbero previsti
interventi a tutela almeno di una parte di questi ambienti così importanti e
delicati. In questo contesto appare molto interessante ed appropriata la
proposta del Comune di Chioggia, in accordo con le associazioni di pesca e col
supporto degli enti di ricerca, di istituire una zona di tutela biologica. Le
zone di tutela biologica in particolare vengono istituite mediante decreto del
Ministero delle Politiche Agricole, di concerto con i vari organi ed enti
competenti in materia sia a livello locale che nazionale, ai sensi della Legge
963 del 1965 e del DPR 1639 del 1968 e successive modifiche, ai fini di
salvaguardia e di ripopolamento delle risorse marine (Diviacco 1999). Queste
aree vengo individuate mediante appositi studi scientifici che ne comprovino
l'importanza per la riproduzione o l'accrescimento di specie marine di rilievo
economico. Pur non essendo esplicitamente prevista una gestione attiva è
comunque possibile prevedere azioni di sviluppo nonché attività didattiche e
ricreative compatibili. Un particolare esempio in tal senso è offerto dal
relitto della piattaforma di perforazione Agip "Paguro", affondata al
largo di Ravenna a seguito di un incidente nel 1965, e dal 1995 zona di tutela
biologica e importante meta turistica. In questo caso, grazie alla gestione da
parte dell'associazione "Paguro" e al controllo operato dalla Capitaneria
di Porto, la presenza dei subacquei appare compatibile con la tutela
dell'ambiente (Ponti et al. 2000). La proposta di istituire una zona di
tutela biologica, presentata al pubblico dal Sindaco Dott. Fortunato Guarnieri
in occasione della conferenza tenutasi a Chioggia il 9 dicembre scorso, ha già
intrapreso l'iter burocratico e presto si avranno le prime risposte concrete.
Nonostante questo è necessario approfondire le conoscenze scientifiche su questi
ambienti e promuovere nuovi progetti di ricerca. In questo contesto, oltre
all'applicazione delle più moderne tecniche di indagine scientifica e di
sperimentazione in ambiente, sarà possibile, seguendo le esperienze americane e
australiane ma anche quelle italiane, coinvolgere anche i subacquei sportivi,
che frequentano in gran numero le tegnùe così come i relitti in particolare
quello del "Paguro", in attività di censimenti visivi finalizzati alla
valutazione dell'abbondanza di alcune specie di facile riconoscimento ma al
contempo di elevato interesse ecologico ed economico. Fra le specie da censire
vi sono ad esempio l'astice e il grongo. Le informazioni ricavabili in questo
modo, se adeguatamente predisposte ed analizzate, pur tenendo conto degli
innegabili limiti di accuratezza e precisione derivanti dall'inesperienza dei
subacquei, possono comunque fornire un importante contributo all'ampliamento
delle conoscenze sulla biodiversità di questi ambienti. A tal fine vari enti di
ricerca nazionali stanno predisponendo degli "Underwater Watching
Project" in grado di coinvolgere e coordinare in modo opportuno i tanti
subacquei sportivi.
Letteratura
citata:
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