Testi e immagini tratte dal video
" I SEGRETI DELL'ADRIATICO" di Piero Mescalchin
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- INCROCIATORE CORAZZATO AMALFI
Altre insidie
attendevano le nostre navi. Di lì a pochi giorni, anche l'Incrociatore corazzato
Amalfi venne affondato da un siluro lanciato da un sommergibile austriaco,
in agguato a circa 20 miglia dalla costa italiana. Varato nel 1908 dai cantieri
Odero di Genova, era lungo 140 metri, largo 21 e pesava a pieno carico 10.600
tonnellate.
L'appellativo "
Corazzato " deriva dal fatto che tutt'intorno era cinto da una protezione
di acciaio spessa fino a 20 centimetri. Nel Museo Storico Navale di Venezia
ritroviamo il nome, che stava sulla poppa della nave. Per contrastare le scorrerie
delle siluranti austriache di base a Pola, era stato deciso che una squadra
navale scortata dall'Incrociatore Amalfi, compisse una perlustrazione fin
sotto le coste Istriane.
. Il siluro venne
perciò lanciato con estrema precisione e colpì la nave sul lato sinistro,
in corrispondenza del compartimento centrale delle caldaie a carbone che,
azionando 2 macchine alternative a 4 cilindri, fornivano una potenza di 20.000
cavalli e consentivano di raggiungere la allora vertiginosa velocità di 23
nodi. Le cronache narrano che dopo soli 6 minuti la nave si era già capovolta
completamente e dopo altri 4 minuti si inabissò.
Nonostante il poco tempo a disposizione, riuscirono a salvarsi 652 uomini
su 719 che si trovavano a bordo. Ciò fu dovuto soprattutto alla disciplina
dell'equipaggio e alla manovra del Capitano di Vascello Riaudo, comandante
dell'Amalfi, che dopo lo scoppio fece porre barra a dritta contenendo così
l'effetto dello sbandamento a sinistra provocato dalla falla.
Nel frattempo i naufraghi vennero raccolti dalle torpediniere CALIPSO e PROCIONE
accorse prontamente. Prima di lasciare il luogo del disastro, vennero lasciati
dei segnali nel luogo dell'affondamento per dar modo di compiere ulteriori
accertamenti. Nel 1919 e nel 1921, a guerra finita, si tentò di localizzare
il relitto, ma il punto stimato e i limitati sistemi di ricerca, resero l'operazione
alquanto difficile. Col sistema della sciabica, trascinando cioè un cavo di
acciaio lungo 300 metri, ci volle parecchio tempo prima che qualcosa si impigliasse
nei rampini di ricerca. Al palombaro che per primo si immerse, la nave apparve
completamente capovolta, sprofondata nel fango fino al piano di coperta. A
14 metri di profondità si trovava la chiglia, mentre le 2 eliche erano a 18
metri su un fondale di 30.
I 3 fumaioli, le 6 torri binate, la plancia di comando, giacevano e giacciono
tuttora schiacciate sotto il peso dello scafo. A nulla era servito il rivestimento
di acciaio che avvolgeva la nave e che ancora oggi possiamo ammirare. Le corazze
costruite in acciaio al Nichel-Cromo, di 20 centimetri di spessore, erano
poste sulle murate nella linea di galleggiamento. Dal 1924 iniziò un sistematico
smantellamento col recupero della quasi totalità del rivestimento corazzato,
un vero tesoro per l'industria metallurgica del dopoguerra. Vennero recuperate
dalla ditta Scavone di Venezia anche le 2 eliche di bronzo.
La demolizione, ottenuta attraverso il brillamento di un'enorme quantità di
cariche esplosive, non risparmiò nulla e si recuperò tutto quanto fu possibile,
finché si arrivò al piano di coperta. Le sovrastrutture della nave sono in
parte coperte dal fango e scardinate dalle esplosioni. Il disegno tratto dal
testo " Storia della Marina " edito dai Fratelli Fabbri dà un'idea della struttura
della nave molto più chiara di quanto non si possa avere osservando i pochi
resti disseminati sul fondo.
Nel 1986 il relitto venne ritrovato con non poche difficoltà, da due sommozzatori
Veneziani , basti pensare che essendo stato lo scafo completamente demolito,
il segnale dato dall'ecoscandaglio evidenziava sul fondo una depressione con
ostacoli non più alti di 1 metro. Purtroppo l'opera di recupero così sistematica
ha privato i subacquei del nostro tempo di uno spettacolo incomparabile.